La guerra si combatteva anche nelle retrovie, lontano dal fronte. Tutta la nazione era stata travolta in un cataclisma che avvolgeva tutti nel suo tragico turbinio.
I soldatini
Quasi ogni famiglia aveva qualcuno al fronte. Tutti temevano il peggio, tutti temevano l’arrivo di certi signori compunti e seri, vestiti di nero che comparivano alla porta con la tragica notizia che un loro caro era morto.
Ma si cercava anche di sorridere.
I bambini han da sempre giocata alla guerra e per questi soldatini la guerra, anche se lontana, c’era per davvero ed era solo un gioco.
Erano i figli di AB? Ma forse sono dei parenti, dei nipotini. Tornato in licenza, ha scattato quest’immagine stereoscopica dei due bellicosi guerrieri, armati fino ai denti.
Sembra una casa padronale di campagna, magari con la porta della cucina che dà direttamente nel piazzale dalle grandi mattonelle. Ed chi era il ragazzo più grandicello con la testa involtata con la sciarpa? Forse aveva gli orecchioni.
I soldatini, considerando la loro età ai tempi della Grande Guerra, fecero in tempo a crescere per esser pronti a partire per la Seconda Guerra Mondiale. E quale sarà stato il loro destino?
Continuo a farmi, a fare domande, ma poi ho ben poche risposte.
Ma chi era la bella? Già dalla negativa si intravede che è una bella donna. Anche in guerra, soprattutto in guerra ci vogliono belle donne per dar coraggio, per sognare i baci, gli abbracci del ritorno a casa.
Mi pare giusta la scelta della macchina per questa fotografia, non ci sono dubbi quella stereoscopica. AB sapeva quel che voleva. Sapeva che quando avrebbe inserito la doppia immagine nel visore avrebbe ottenuto un risultato a tre dimensioni, promettente di tanto caloroso affetto.
Anche in questo caso non so chi sia. Considerando l’acconciatura, il vestito e soprattutto la collana di perle doveva essere una signorina o signora di buona famiglia, ma che fosse la fidanzata, o addirittura la moglie di AB? Lei sembra soddisfatta, sicura di se, è di certo a suo agio col fotografo. Vuol lasciare nella foto il meglio di se, spera che lui terrà cara questa foto e quando lontano, al fronte, continuerà ad ammirarla e desiderarla. Lei, triste nel suo letto freddo e vuoto, penserà a lui che ogni sera prima di dormire darà un bacio alla sua immagine.
La strada sembra quella d’un paese di campagna. Nella foto c’è un porta con disegnati sopra dei simboli che sembrano religiosi, forse c’era una cappella improvvisata. Sopra la testa della ragazza, attaccata al muro, c’è una gabbia, sembra una di quelle che i cacciatori usano per tenerci gli uccelli da chiamo.
E per finire, il suo nome? Il primo che mi viene in mente, senza nessuna plausibile ragione, ma possibile: Evelina, si pare proprio un’Evelina.
Uno dei grandi protagonisti di “Morte a Venezia”, che Luchino Visconti diresse nel 1971, fu proprio il Grand Hôtel des Bains al Lido di Venezia, che splende in tutta la sua maestosa gloria in quegli ultimi anni di pace. La morte di Aschenbach, proprio su quella spiaggia della foto stereoscopica, pare inevitabile sin dall’inizio, unica logica conclusione d’una storia crepuscolare.
Inevitabile? Era quello il destino dell’Europa del 1910? La Grande Guerra non era lontana e l’avrebbe confermato.
Il Grand Hôtel des Bains, credo che allora non si usassero le stelle per classificare gli alberghi, era semplicemente di “prima categoria”, fu costruito nello stesso periodo di quello a Borca di Cadore.
Ma quando AB, il dottore fotografo, andò a Venezia? Prima o dopo la guerra? Ho studiato la foto attentamente e non ho raggiunto una conclusione definitiva. Sono propenso a pensare che sia dopo, negli anni venti. Il fatto che questo negativo sia nella stessa scatola dove ho trovato l’immagine di Mussolini al balcone di Palazzo Venezia dovrebbe essere un elemento sufficiente per confermarlo. La moda di portare la paglietta, come il signore con la giacca al centro, durò per molti anni.
Spero sempre che qualche amico sia capace di identificare degli elementi che possano aiutare.
Il fatto che sia andato, ma anche questa è un’assunzione, al Grand Hôtel des Bains conferma che era uno che stava bene, che se lo poteva permettere. Di certo avrà pensato ai suoi giorni passati nel Palace Hotel des Dolomites, ufficialmente denominato ospedale da campo 201. Che ci fossero anche quelli “da campo” di prima categoria?
Piazza San Marco. Venezia
E come tutti i turisti a Venezia un giorno AB andò in piazza San Marco e salito sulla torre scattò una foto con la sua macchina stereoscopica.
A proposito della macchina stereoscopica penso che i due obbiettivo non erano ben sincronizzati, infatti in tutte le fotografie l’immagine di sinistra appare sovraesposta, ovvero l’otturate rimaneva aperto una frazione di secondo più a lungo. Che abbia mai cercato di farlo riparare? Di certo se n’era accorto.
tipico apparato fotografico a lastre inizio novecento
Questa è una tipica macchina fotografica dell’epoca, ai tempi della Grande Guerra. È probabile che il dottore AB ne avesse una di questo genere, portatile, diciamo moderna rispetto alle altre più ingombranti tipo banco ottico che necessitavano sempre un treppiedi. La Kodak con successo produceva macchine (Brawnie ed altre a soffietto) che usavano la pellicola. La rivoluzionaria Leica, che avrebbe usato spezzoni della pellicola a 35mm usata per girare i film, sarebbe arrivata più avanti, negli anni venti. Mio padre in Libia nel 1924 aveva una piccola macchina tedesca a soffietto che usava una pellicola d’uno strano formato.
lastra di vetro e scatole originali francesi
Dalle lastre di vetro che sono arrivate fino a me si deduce che il dottore fotografo ne utilizzò almeno tre tipi. La maggior parte sono di vetro 10×15 cm il famoso e credo più comune formato cartolina. Usavano il bromuro d’argento come emulsione fotosensibile e questo era un grande progresso rispetto alle tecniche precedenti, permettendo di scattare foto a più alta velocità. Ne ho alcune del formato più piccolo 9x12cm. La scatola che le contiene non è quella originale, ma una per pellicole dello stesso formato di manifattura tedesca: Perutz P21 portrait matt con scadenza Aug, 73. Infine ho una scatola originale di negative stereoscopiche 4x10cm, quelle che permettevano con l’uso d’un visore speciale di vedere l’immagine in tre dimensioni.
Le scatole delle lastre erano pesanti e care. Il fotografo era sempre molto accorto prima di scattare, voleva esser sicuro di quello che stava per immortalare, gli sprechi erano un inutile lusso.
primadopo
Ma come faceva a sviluppare le negative e stampare le foto? Forse aveva allestito una camera oscura? Considerando le dimensioni della lastra la maggioranza delle immagini venivano riprodotte, dopo lo sviluppo, mettendo il lato dell’emulsione a diretto contatto con la carta sensibile per poi esporla ad una sorgente di luce, magari il sole. Non c’era bisogno di ingranditore, bastavano un bagno di sviluppo ed uno di fissaggio.
È anche probabile, come mi ha suggerito Lorenzo, che poteva inviare le negative ad uno laboratorio professionale e che lo stesso monogramma AB potrebbe riferirsi a questo piuttosto che all’autore. Questo è certo uno tema da “sviluppare”.
macchina fotografica stereoscopica del periodo
Le lastre stereoscopiche dovevano essere sviluppate e montate professionalmente su cartoncino, per poi esser visionate nello speciale visore.
La fotografia stereoscopica ebbe un grandissimo successo cominciando nella seconda metà dell’ottocento. Era tipico di molte famiglie borghesi di collezionare immagini di tutto il mondo da guardare con un visore che permetteva l’effetto ottico delle tre dimensioni per poi immaginare viaggi in luoghi lontani ed esotici.
visore per immagini stereoscopiche
La prima volta che vidi delle foto stereoscopiche fu negli anni cinquanta ed erano già fuori moda; era stato poi inventato un altro apparato, il View-Master che con lo stesso principio delle due immagini che sovrapponendosi davano l’effetto delle tre dimensioni.
Il Sor Camillo Benci di Sansepolcro aveva una gran collezioni di immagini del Sud Africa, dove aveva vissuto a cavallo fra I due secoli per vent’anni, e molte erano del guerra dei Boeri. Poi considerando che ero grande abbastanza e col permesso della moglie, mi fu permesso di visionare il deposito segreto delle ragazze zulu nude. Fu quella la prima volta che vidi una donna nuda, che non fosse una statua od un dipinto. E non solo erano nude ma anche a tre dimensioni!
Il dottore fotolografo era fascista, ci sono varie immagini che ce lo confermano. Le vedremo più aventi. Quando AB andò a Roma ad una grande adunate decise che voleva tramandare la fama imperitura di Mussolini al balcone di Palazzo Venezia in tre dimensioni. Non fu accorto nell’impugnare la macchina ed immortalò anche un suo dito. In questa mia ricerca di identificare AB, il dottore fotografo, forse l’unico elemento sicuro rimarrà solo questo dito.
Mussolini al balcone di Palazzo Venezia ed il dito del fotografo.
Posseggo una macchina stereoscopica. Credo che Kodak abbia sviluppato le immagini diapositive stereoscopiche fino agli anni ottanta. Venivano proiettate in un schermo e si poteva vedere con degli occhiali speciali.
Non so chi sia questo signore di campagna che si è messo in posa per essere immortalato.
Volendo dare un volto al dottore fotografo che partì per la guerra portandosi dietro una macchina fotografica e pesanti scatole di lastre fotografiche di vetro al bromuro d’argento, ho deciso, o meglio ho scelto che sia lui. Mi piace con quello sguardo fiero e sicuro.
Dal cappello, dal perfetto taglio della giacca sportiva alla cravatta ed ai gambali che indossa non ci son dubbi, è un signore. E la doppietta senza cani ne è la conferma. Di certo c’erano a quel tempo dei poveri cacciatori che andavano ancora in giro con schioppi ad avancarica (a luminello, a bachetta)
Di lui sappiamo solo le iniziali AB che ha monogrammato raschiandole in alcune lastre. Sappiamo che è sposato, la fede alla mano sinistra lo conferma. Ci sono fra le sue tante fotografie immagini di giovani signore eleganti, una di certo sarà stata sua moglie, forse più avanti nella creazione di questo mosaico gliene sceglierò una.
Avendo stabilito il suo status di signore direi che la prima A è quella del nome. Considerando il discreto numero di immagini con preti, monache, precessioni e chiese direi che venga da una famiglia molto cattolica, quindi ci son molte probabilità che il suo nome sia quello d’un santo di prima categoria come Antonio, Agostino o Andrea.
Semplici ed inutili congetture, lasciamolo semplicemente A.
Pubblicando questo blog, alla vigilia dei cento anni dall’inizio della Grande Guerra, voglio rendere omaggio alla memoria d’uno sconosciuto dottore fotografo che ci ha lasciato tutte queste immagini che con tanti fortuiti passaggi sono arrivati fino a me.
Spero anche di scoprire il più possibile su lui dalla lettura delle fotografie di tempi di guerra e di tempi di pace, ognuna ha la sua storia da narrarci, sta a noi saperla intendere.
Conto anche sull’intervento di chi mi possa aiutare in questa ricerca.
La numerazione delle varie immagini sarà seguita dalla lettera “g” per guerra e “p” per pace.
Un Ringraziamento ad Odilio Goretti
Odilio Goretti, Anghiari, Maggio 1978
Questo è possibile grazie al generoso dono che Odilio mi fece più di trent’anni fa.
Quando tempo addietro appresi della sua morte mi sentii triste e quando seppi del concerto dato in suo onore sotto le loggie del Palazzo delle Laudi a Sansepolcro ho sorriso, son certo che ne sarebbe stato soddisfatto, compiaciuto.
Scattai questa foto nell’aprile del 1978 ad Anghiari. Era una domenica mattina piena di sole e quando lo incontrai era tutto preso a scrivere delle note. Anche lui stava facendo foto e mi sembra di ricordare che aveva una macchina fotografica che veniva dall’est, sembrava una Leica. Ma dove l’aveva trovata? Di certo era una sua maniera per sostenere il lavoro dei compagni lontani.
Odilio, fiero d’esser stato partigiano, era uno dei fondotori del Museo della Resistenza ed aveva raccolto la maggior parte del materiale esposto. Gli diedi quello che avevo, un paio di stivali da gerarca fascista anche delle fasce mollettiere e lui mi insegnò come si avvolgevano al polpaccio.
Odilio mi fece un regalo, un bel regalo, e penso che fu proprio nell’occasione di quest’incontro che mi invitò a casa sua, allora abitava in via Mazzini. Aveva da poco acquistato dei mobili antichi, roba fine ottocento, ed in uno di questo aveva trovate svariate scatole di negativi di vetro. Mi sembra che di mi disse d’aver fatto quell’acquisto in Umbria, in una casa di campagna, signorile.
Lui sapeva del mio interesse nella fotografia e me le diede. Dono gradito e pesantissimo, mi ci vollero un paio di viaggi per portarle tutte negli Stati Uniti.