Monthly Archives: April 2014

002g Palace Hôtel Dolomiti ai tempi della Grande Guerra 1915-18

manifesto pubblicitario antecedente la Grande Guerra
manifesto pubblicitario antecedente la Grande Guerra

…e la gente, verso la fine dell’ottocento, cominciò ad andare in vacanza, almeno quelli che se lo potevano permettere. L’espansione della rete ferroviaria aveva reso raggiungibili in breve tempo destinazioni che prima solo i più avventurosi avrebbero preso in considerazione. Il passo del progresso era stato enorme, anche se oggi ci appare primitivo e ci fa sorridere. Vecchi porti di pescatori come Nizza, San Remo, Viareggio, solo per far un dei nomi divennero la meta agognata della ricca borghesia ed aristocrazia nordeuropea che cercava di sfuggire l’inverno freddo e nebbioso.

Scoprirono anche che c’erano anche quelli, in un’era senza condizionatori, per chi voleva sfuggire l’afa estiva. E cosa ci poteva esser di meglio d’una località alpina dall’aria salubre? E cosi per accontentare quella ricca clientela elegante e sofisticata, che ancora non sapeva neanche cosa fossero sci, costruirono grandi alberghi fra i boschi e con la vista di picchi maestosi.

Il Palace Hotel Dolomiti, a Borca San Vito di Cadore, a pochi chilometri dal confine con l’Impero Austroungarico, fu costruito nel 1904 sotto il picco dell’Antelao. A quel tempo Cortina era in Austria, ancora oggi lungo la strada dell’Alemagna c’è la località Dogana Vecchia. Come si legge nel manifesto pubblicitario la stagione si limitava all’estate, davvero un grosso investimento per una struttura da utilizzare solo tre mesi e mezzo l’anno. Ancora non avevano inventato la settimana bianca.

Non so quanto successo ebbe questa destinazione in quei primi anni, ma so che dopo l’entrata in guerra dell’Italia alla fine di maggio del 1915 l’albergo fu tutto al completo per gli anni a venire. La sua strategica posizione, nelle retrovie non lontana dal fronte, era ideale per allestire un ospedale militare. I due eserciti si trovarono a confrontarsi in condizioni di estrema durezza combattendo fra le impervie montagne del Cadore.

Le strutture del grande albergo con tante camere e grandi cucine offriva il necessario per il nuovo uso.

Immagino che il nostro dottore fotografo doveva esser soddisfatto quando arrivò a Borca di Cadore, si trovò a suo agio, lui era un signore. La guerra la doveva fare, tanto meglio farla stando in un albergo di prima categoria. Allora non avevano ancora inventato le stelle per distinguere gli alberghi.

giorno di bucato
giorno di bucato

L’albergo, come tutti gli alberghi, di lenzuola ne aveva tante. Il problema sarà stato quello di lavarli. In questa immagine ci sono anche, nei filari più lontani, tante maglie e mutande lunghe, di sicuro son quelle di lana, che dan prurito.

Ancora non so la storia dell’albergo nelle sue varie tappe che seguirono la fine della guerra, ho scoperto che ebbe ospiti illustri come D’Annunzio, la Duse e tanti altri.

Dopo tante vicissitudini fu infine comprato dalla diocesi di Padova.

Completamente restaurato e riportato al suo originale splendore il Palace Hotel des Dolomites fu inaugurato nel 2009. Centro non solo di vacanze alpine offre guida a chi voglio ritrovare la pace spirituale, è infatti anche la sede dell’Istituto Dolomiti Pio X.

Nota: ringrazio il sig. Daniele “Gira” Girardini che mi ha aiutato ad identificate la località dalla fotografia delle lenzuola stese. Il sig. Girardini cura un interessante sito dedicato alla Grande Guerra combattuta anche fra le impervie cime del Cadore.

www.cimeetrincee.it

002p le macchine fotografiche, accessori e il dito del fotografo.

tipico apparato fotografico a lastre inizio novecento
tipico apparato fotografico a lastre inizio novecento

Questa è una tipica macchina fotografica dell’epoca, ai tempi della Grande Guerra. È probabile che il dottore AB ne avesse una di questo genere, portatile, diciamo moderna rispetto alle altre più ingombranti tipo banco ottico che necessitavano sempre un treppiedi. La Kodak con successo produceva macchine (Brawnie ed altre a soffietto) che usavano la pellicola. La rivoluzionaria Leica, che avrebbe usato spezzoni della pellicola a 35mm usata per girare i film, sarebbe arrivata più avanti, negli anni venti. Mio padre in Libia nel 1924 aveva una piccola macchina tedesca a soffietto che usava una pellicola d’uno strano formato.

lastra di vetro e scatole originali francesi
lastra di vetro e scatole originali francesi

Dalle lastre di vetro che sono arrivate fino a me si deduce che il dottore fotografo ne utilizzò almeno tre tipi. La maggior parte sono di vetro 10×15 cm il famoso e credo più comune formato cartolina. Usavano il bromuro d’argento come emulsione fotosensibile e questo era un grande progresso rispetto alle tecniche precedenti, permettendo di scattare foto a più alta velocità. Ne ho alcune del formato più piccolo 9x12cm. La scatola che le contiene non è quella originale, ma una per pellicole dello stesso formato di manifattura tedesca: Perutz P21 portrait matt con scadenza Aug, 73. Infine ho una scatola originale di negative stereoscopiche 4x10cm, quelle che permettevano con l’uso d’un visore speciale di vedere l’immagine in tre dimensioni. 

Le scatole delle lastre erano pesanti e care. Il fotografo era sempre molto accorto prima di scattare, voleva esser sicuro di quello che stava per immortalare, gli sprechi erano un inutile lusso.

prima
prima
dopo
dopo

Ma come faceva a sviluppare le negative e stampare le foto? Forse aveva allestito una camera oscura? Considerando le dimensioni della lastra la maggioranza delle immagini venivano riprodotte, dopo lo sviluppo, mettendo il lato dell’emulsione a diretto contatto con la carta sensibile per poi esporla ad una sorgente di luce, magari il sole. Non c’era bisogno di ingranditore, bastavano un bagno di sviluppo ed uno di fissaggio.

È anche probabile, come mi ha suggerito Lorenzo, che poteva inviare le negative ad uno laboratorio professionale e che lo stesso monogramma AB potrebbe riferirsi a questo piuttosto che all’autore. Questo è certo uno tema da “sviluppare”.

macchina fotografica stereoscopica del periodo
macchina fotografica stereoscopica del periodo

Le lastre stereoscopiche dovevano essere sviluppate e montate professionalmente su cartoncino, per poi esser visionate nello speciale visore.

La fotografia stereoscopica ebbe un grandissimo successo cominciando nella seconda metà dell’ottocento. Era tipico di molte famiglie borghesi di collezionare immagini di tutto il mondo da guardare con un visore che permetteva l’effetto ottico delle tre dimensioni per poi immaginare viaggi in luoghi lontani ed esotici.

visore per immagini stereoscopiche
visore per immagini stereoscopiche

La prima volta che vidi delle foto stereoscopiche fu negli anni cinquanta ed erano già fuori moda; era stato poi inventato un altro apparato, il View-Master che con lo stesso principio delle due immagini che sovrapponendosi davano l’effetto delle tre dimensioni.

Il Sor Camillo Benci di Sansepolcro aveva una gran collezioni di immagini del Sud Africa, dove aveva vissuto a cavallo fra I due secoli per vent’anni, e molte erano del guerra dei Boeri. Poi considerando che  ero grande abbastanza e col permesso della moglie, mi fu permesso di visionare il deposito segreto delle ragazze zulu nude. Fu quella la prima volta che vidi una donna nuda, che non fosse una statua od un dipinto. E non solo erano nude ma anche a tre dimensioni!

Il dottore fotolografo era fascista, ci sono varie immagini che ce lo confermano. Le vedremo più aventi. Quando AB andò a Roma ad una grande adunate decise che voleva tramandare la fama imperitura di Mussolini al balcone di Palazzo Venezia in tre dimensioni. Non fu accorto nell’impugnare la macchina ed immortalò anche un suo dito. In questa mia ricerca di identificare AB, il dottore fotografo, forse l’unico elemento sicuro rimarrà solo questo dito.

Mussolini al balcone di Palazzo Venezia ed il dito del fotografo a destra
Mussolini al balcone di Palazzo Venezia ed il dito del fotografo.

Posseggo una macchina stereoscopica. Credo che Kodak abbia sviluppato le immagini diapositive stereoscopiche fino agli anni ottanta. Venivano proiettate in un schermo e si poteva vedere con degli occhiali speciali.

001g il 23 aprile 1916 – Pasqua AB

tormenta nel giorno di Pasqua del 1916
tormenta nel giorno di Pasqua del 1916

La Pasqua del 1916 venne molto tardi, il 23 aprile, e questo è un dato sicuro; ne ho avuto conferma controllando il “calendario perpetuo”.

Inoltre si può vedere che la gran tormenta di neve fu di tali proporzioni, fuori stagioni perfino nelle Alpi, che il fotografo decise di immortalarla. La lenta velocità di scatto dell’obbiettivo può aver creato questo effetto di movimento. Sulla lastra di vetro del negativo scrisse la memorabile data. Credo che l’unica maniera per poterlo fare fosse quella di rigare con una punta di metallo l’emulsione, ed infine sulla destra aggiunse il monogramma AB.

Non sapendo il nome ho deciso di chiamarlo AB, pronunciando le due lettere separatamente “a-b”. Questo è tutto quello che so del dottore appassionato di fotografia, che partì per la guerra con il suo apparato fotografico, un treppiede e pesanti scatole di lastre di vetro al bromuro d’argento.

La località è sconosciuta, la foresta d’abeti che circonda l’edificio conferma una località alpina, forse nel Cadore, dalle parti delle Dolomiti come son visibili in molte altre immagini.

001p il dottore cacciatore

il dottore cacciatore
il dottore cacciatore

Non so chi sia questo signore di campagna che si è messo in posa per essere immortalato.

Volendo dare un volto al dottore fotografo che partì per la guerra portandosi dietro una macchina fotografica e pesanti scatole di lastre fotografiche di vetro al bromuro d’argento, ho deciso, o meglio ho scelto che sia lui. Mi piace con quello sguardo fiero e sicuro.

Dal cappello, dal perfetto taglio della giacca sportiva alla cravatta ed ai gambali che indossa non ci son dubbi, è un signore. E la doppietta senza cani ne è la conferma. Di certo c’erano a quel tempo dei poveri cacciatori che andavano ancora in giro con schioppi ad avancarica (a luminello, a bachetta)

Di lui sappiamo solo le iniziali AB che ha monogrammato raschiandole in alcune lastre. Sappiamo che è sposato, la fede alla mano sinistra lo conferma. Ci sono fra le sue tante fotografie immagini di giovani signore eleganti, una di certo sarà stata sua moglie, forse più avanti nella creazione di questo mosaico gliene sceglierò una.

Avendo stabilito il suo status di signore direi che la prima A è quella del nome. Considerando il discreto numero di immagini con preti, monache, precessioni e chiese direi che venga da una famiglia molto cattolica, quindi ci son molte probabilità che il suo nome sia quello d’un santo di prima categoria come Antonio, Agostino o Andrea.

Semplici ed inutili congetture, lasciamolo semplicemente A.

 

PROLOGO

Pubblicando questo blog, alla vigilia dei cento anni dall’inizio della Grande Guerra, voglio rendere omaggio alla memoria d’uno sconosciuto dottore fotografo che ci ha lasciato tutte queste immagini che con tanti fortuiti passaggi sono arrivati fino a me.

Spero anche di scoprire il più possibile su lui dalla lettura delle fotografie di tempi di guerra e di tempi di pace, ognuna ha la sua storia da narrarci, sta a noi saperla intendere.

Conto anche sull’intervento di chi mi possa aiutare in questa ricerca.

 La numerazione delle varie immagini sarà seguita dalla lettera “g” per guerra e “p” per pace.

 

Un Ringraziamento ad Odilio Goretti

Odilio Goretti, Anghiari, Maggio 1978
Odilio Goretti, Anghiari, Maggio 1978

Questo è possibile grazie al generoso dono che Odilio mi fece più di trent’anni fa.

Quando tempo addietro appresi della sua morte mi sentii triste e quando seppi del concerto dato in suo onore sotto le loggie del Palazzo delle Laudi a Sansepolcro ho sorriso, son certo che ne sarebbe stato soddisfatto, compiaciuto.

Scattai questa foto nell’aprile del 1978 ad Anghiari. Era una domenica mattina piena di sole e quando lo incontrai era tutto preso a scrivere delle note. Anche lui stava facendo foto e mi sembra di ricordare che aveva una macchina fotografica che veniva dall’est, sembrava una Leica. Ma dove l’aveva trovata? Di certo era una sua maniera per sostenere il lavoro dei compagni lontani.

Odilio, fiero d’esser stato partigiano, era uno dei fondotori del Museo della Resistenza ed aveva raccolto la maggior parte del materiale esposto. Gli diedi quello che avevo, un paio di stivali da gerarca fascista anche delle fasce mollettiere e lui mi insegnò come si avvolgevano al polpaccio.

Odilio mi fece un regalo, un bel regalo, e penso che fu proprio nell’occasione di quest’incontro che mi invitò a casa sua, allora abitava in via Mazzini. Aveva da poco acquistato dei mobili antichi, roba fine ottocento, ed in uno di questo aveva trovate svariate scatole di negativi di vetro. Mi sembra che di mi disse d’aver fatto quell’acquisto in Umbria, in una casa di campagna, signorile.

Lui sapeva del mio interesse nella fotografia e me le diede. Dono gradito e pesantissimo, mi ci vollero un paio di viaggi per portarle tutte negli Stati Uniti.

Grazie Odilio!